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Dying Light: molto survival, poco horror

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INTRODUZIONE

Da sempre FPS (First Person Shooter), nel mondo videoludico, è sinonimo di tempeste di proiettili, di Battlefield e Call Of Duty, del novello Grand Theft Auto V e altri che non stiamo qui ad elencarvi. Troppe poche volte abbiamo visto questa abusata tecnica progettistica applicata ad un titolo che non fosse uno sparatutto ma che, allo sesso tempo, lasciasse intatta la componente frenetica di un puro FPS, come per esempio Mirror’s Edge: bhè, affiancate al sistema di movimento in stile parkour, già presente, la componente di un’ apocalisse zombie, e avrete Dying Light, il survival horror dei ragazzi di Techland.

TRAMA

Le vicende narrate in Dying Light hanno come sfondo la meravigliosa, quanto devastata, città di Harran, metropoli mediorientale colpita dalla solita epidemia che ha mutato gli abitanti in spietati “mangiacarne”: la causa, un’evoluzione del virus della rabbia. La buona notizia è la presenza di una possibile cura: condotte da Zere, dottore sopravvissuto al contaggio, le ricerche sembrano andare nel verso giusto. A fare il doppio gioco, gli organi internazionali che, nonostante tengano sotto stretta osservazione la situazione mandando di rado scorte di Antizin (ritardante per il virus), hanno in mente una risoluzione dal drammatico risvolto. Il compito dell’agente del GRE Kyle Crane, protagonista del gioco, sarà quello di infiltrarsi nella zona per recuperare un prezioso file: aiutando i sopravvissuti e combattendo contro un super cattivo, Rais, verrà a conoscenza di una sconvolgente verità.

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MODALITA’ DI GIOCO

La struttura da open world, le quest primarie e secondarie, la grande importanza data al crafting, le armi distruttibili e la progressione del protagonista del gioco con un ampio skill-tree, sono elementi indispensabili in un survival che si rispetti: Dying Light è questo, un gioco solido e ben strutturato. Gli amanti del genere, che hanno avuto modo di giocare a Dead Island, altra opera dei ragazzi di Techland, si troveranno a proprio agio in mezzo a questi vicoli labirintici traboccanti di sangue e carcasse in decomposizione: anche dal punto di vista del gameplay ci sono poche novità ma, di rilevante importanza. Dying Light, infatti, come i precedenti lavori della software house polacca, è un survival horror in prima persona, nel quale un ruolo imprescindibile è dato all’utilizzo minuzioso delle risorse che volta per volta troveremo nei bauli da scassinare: più e più volte ci troveremo a dover craftare una miriade di grimaldelli. All’interno dei bauli poi, si potranno trovare garze e progetti per le armi, in pieno stile Dead Rising, che, seppur meno stravaganti dell’esclusiva Microsoft, daranno grandi soddisfazioni: il coltello con l’upgrade dell’elettricità, è micidiale! Parlando poi delle meccaniche di gioco, fiore all’occhiello delle novità presentate da Techland, è l’utilizzo di un sistema di movimento in stile parkour, figlio soprattutto di una estensione verticale della città. Saltare e aggrapparsi a qualsiasi appiglio, scavalcare muri e recinzioni, sarà il pane quotidiano del “buon sopravvissuto”: preferiremo di gran lunga passare le giornate tra i tetti delle abitazione che in stradine infestate dagli zombie.

Altro punto a favore di Dying Light è il sistema di progressione, semplice ed intuitivo, diviso tra Agilità, Forza e Sopravvivenza. Ognuna di queste voci aumenta a seconda se ci muoviamo molto (salti, corse e scivolate), se combattiamo spesso e se portiamo a termine le missioni (primarie e secondarie). Guadagnato un punto al passaggio del livello successivo, possiamo attivare una delle rispettive abilità. Unica pecca “forzata” è l’assenza di una componente “motorizzata“: sarebbe impossibile guidare tra i vicoli di Harran. A compensare questa effimera mancanza, un solido e dinamico gameplay che si modifica nel corso dell’avventura: la differenza tra giorno e notte (unica reale fase horror di tutto il gioco) sarà evidente e correre sarà la vostra unica via di salvezza dai “Notturni”.

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GRAFICA E SONORO

Per quanto riguarda il comparto tecnico, Techland ci presenta un titolo solido anche da questo punto di vista. Le ambientazioni di Dying Light sono curate minuziosamente: passare da un quartiere di Harran all’altro sarà evidente sia nell’architettura dei palazzi che nelle stanze degli edifici, caratterizzate ciascuna in modo particolare. Merito ovviamente dello stratosferico design della città, che incanta quando è sferzata dalla pioggia battente o quanto il sole sta tramontando oltre alle colline che svettano al di là del fiume.

Non si può dire lo stesso per gli zombie che, seppur realizzati con un’ottima tecnica pixellare, sono poco diversificati: a occhio si possono notare poco più di quattro/cinque categorie che vanno dal classico zombi (semplice o gigante), passando per i runner e arrivando ai notturni. Nota dolente per il comparto sonoro che presenta un doppiaggio che, affiancato da ottime interpretazioni, risulta a tratti forzato e privo di carisma.

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IN CONCLUSIONE

Dying Light è un titolo grandioso sotto tutti i punti di vista: il survival horror di Techland assume finalmente i tratti più seri e umani di un’apocalisse zombie resa fin troppo “divertente e spensierata” dai predecessori del genere, sottolineando un profondo legame tra il giocatore e le vicende del protagonista.
Inoltre Dying Light, risulta essere il survival horror meno horror di sempre: saranno rari i momenti di spavento, a favore di un ritmo incalzante e mai scontato. Ecco perchè il titolo si presta bene anche a chi si avvicina per la prima volta a questo mondo: nella libreria di un buon videogiocatore non può mancare!

Qui il trailer del gioco:

Carlo Carpio

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